La riforma ebbe dei seguiti anche su una un’altra costante della questione meridionale, la fame di terra, andando ad incidere profondamente , su tutta la superficie nazionale sui rapporti città-campagna e sulla pressione demografica , rispetto alla poca terra disponibile. Il paesaggio agrario, conseguì modifiche e un notevole impatto geografico.
Con l’attuazione della riforma infranse un duro colpo alla precedente struttura fondiaria caratterizzata da vaste proprietà organizzate in colture estensive a conduzione dirette, davano luogo a una serie di affittanze contadine, la piccola proprietà arrivò ad occupare il 60% della superficie nazionale, la media proprietà rimase invariata (il 19.3% della superficie tot.) mentre la grande proprietà fu limitata al 20% del tot.
Sempre in merito al passaggio agrario, altre trasformazioni radicali furono innescate dalla graduale sostituzione dei vecchi ordinamenti produttivi di tipo estensivo e monoculturali (cerealicolo – pastorali) con sistemi moderni di tipo intensivo e portarono all’introduzione di nuove colture (arboree. erbacee) e dell’allevamento di bestiame e da latte e da carne.
Prima della trasformazione fondiaria infatti i terreni sottoposti a divisione erano destinati alla seguenti colture:
- seminativi 53.4%
- arboree 2.6%
- pascoli e incolti 35.4%
- boschi 8.6 %
Nel 1963, a dieci anni dall’ avvio della trasformazione fondiaria attuata dagli Enti, le destinazioni colturali erano così ripartite: 67.5% seminativi, 9.4% colture arboree specializzate, 16% pascoli e incolti, 7.1% boschi.
- Nei diversi comprensori furono impiantati oliveti e vigneti, frutteti, nelle zone raggiunte anche dall’ irrigazione anche agrumeti, colture da rinnovo come la barbabietola da zucchero, patata e pomodoro.